Servizi per lo sviluppo organizzativo: utilità e valore

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Progettare un intervento per lo sviluppo organizzativo presuppone l’avvio di una consulenza di processo che, per definizione, crea una relazione d’aiuto tra chi ha un problema (cliente) e chi può offrire soluzioni (consulente). Credo moltissimo in questo approccio, tanto da aver rilanciato la mia attività professionale con una nuova tipologia di servizi per la comunicazione, dedicati al cambiamento comportamentale.

È abbastanza difficile trasmettere il valore di certe proposte, però. Nonostante la razionalità sia in grado di comprendere l’importanza di concetti come “collaborazione”, “inclusione”, “condivisione”, per esempio, è l’istinto, la mente inconscia, a prendere decisioni. Ecco perché, sebbene in teoria siano tutti d’accordo con l’idea di rispetto e uguaglianza, ben poche sono le iniziative aziendali pronte ad abbracciarla davvero.

A cosa serve lo sviluppo organizzativo?

Lo sviluppo organizzativo prende spunto dalla scienza del comportamento o “comportamentismo” (approccio alla psicologia, sviluppato dallo psicologo John Watson agli inizi del Novecento).

Parliamo di una serie di attività destinate a rafforzare l’efficienza complessiva di un’organizzazione.
In particolare, occuparsi di sviluppo organizzativo significa abilitare/responsabilizzare individui e gruppi, affinché siano in grado di immaginare percorsi alternativi, nuovi modi di agire, con una trasformazione graduale di valori, atteggiamenti, relazioni, metodi. Elementi necessari: consapevolezza e motivazione.

L’obiettivo finale è favorire la dinamicità, aiutare ogni team ad apprendere dall’esperienza, aggiornarsi per mantenere e, soprattutto, accrescere le proprie conoscenze e competenze.

[…] Temi principali sono l’ambiente organizzativo, lo scambio d’informazioni, la comunicazione, la costituzione di gruppi di lavoro, l’istituzione di rapporti di collaborazione tra unità ed altri temi simili.

– fonte: Scuola socio-analitica, Wikipedia

Come lavorare senza pregiudizi inconsci

Ciò che frena il cambiamento, il miglioramento, la crescita di qualsiasi gruppo di lavoro, è la resistenza al nuovo. Tipica reazione di chi desidera opporsi è la seguente: “si è sempre fatto così, perché modificare?”.
Non solo: lavoriamo quotidianamente influenzati da pregiudizi che non pensiamo di avere. Ciò inquina la qualità del nostro operato e crea un nocivo distacco o “gap” tra intenzione e azione.

Secondo Tinna Nielsen, antropologa ed economista comportamentale danese, i preconcetti possono influenzare in maniera potente le decisioni. In un’intervista rilasciata per il settimanale “Donna Moderna”, Tinna racconta di aver collaborato con un’azienda, che desiderava assumere personale qualificato, effettuando un esperimento: la consegna dello stesso curriculum con la modifica, di volta in volta, di nome, genere e nazionalità. Risultato: giudizi differenti per lo stesso contenuto. Ciò dimostra come, nonostante le buone intenzioni, ci sia sempre qualcosa che condiziona involontariamente le nostre scelte.

Tinna suggerisce, quindi, di avviare processi di reclutamento tramite curriculum anonimo, in cui siano assenti informazioni irrilevanti per l’assegnazione del lavoro. Inoltre, in tema di pregiudizi inconsci, rileva quanto sia frequente l’abitudine di sottovalutare il parere di qualcuno (dipendente, collaboratore, cliente ecc.) perché ritenuto poco credibile, salvo poi accettare la stessa osservazione da parte di persone in apparenza più attendibili. Ciò accade, per esempio, se a parlare è una donna, uno stagista o un collega straniero. In questi casi è giusto sottolineare la proprietà dell’idea, per valorizzare il/la proponente e favorire così, sul campo, dinamiche di gruppo più inclusive.

Perché introdurre la facilitazione in azienda

Per aiutare le organizzazioni a mitigare i pregiudizi, liberare risorse e agire in conformità con le loro buone intenzioni, è necessario progettare nuovi modelli comunicativi e/o riprogettare i processi organizzativi già esistenti. Dobbiamo lavorare non solo sulla nostra autonomia decisionale, ma anche sull’ambiente in cui operiamo, sulle strutture, sugli strumenti. Dopo aver capito che possiamo sbagliare, è importante anche accettare che il sistema in cui siamo immersi possa presentare delle imperfezioni. Tutto può essere migliorato e ogni cambiamento dev’essere lento e graduale. Nessuna forzatura, insomma.

Introdurre le tecniche di facilitazione in azienda (e nel sociale) è la soluzione che propongo per poter agire in modo efficace sulle cause e modificare le conseguenze. Decidere insieme, incentivare la comunicazione interna, consente di creare mappe di riferimento per costruire una cultura organizzativa modellata sul contesto, gestire relazioni costruttive, analizzare i comportamenti attuali e quelli desiderati, individuare le barriere e promuovere un cambiamento reale, cosciente.

La facilitazione è un cammino che, insieme alla consulenza strategica e al coordinamento dei gruppi di lavoro, rende più semplice dare voce ai talenti, alle potenzialità inespresse, a ciò che il singolo può realizzare per il benessere collettivo. L’utilità, e al tempo stesso il valore, dei servizi per lo sviluppo organizzativo risiede proprio nella possibilità di crescere unendo le forze, all’insegna della partecipazione, dell’inclusione e dell’apprendimento continuo. Senza dimenticare l’indispensabile ascolto attivo.