Creare consapevolezza con la consulenza di processo

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Edgar H. Schein definisce la consulenza di processo come “la creazione di una relazione con il cliente”: una relazione d’aiuto, in particolare, tra chi ha un problema (cliente) e chi può offrire soluzioni (consulente).

Attenzione, però: essendo Shein un esperto di cultura organizzativa, bisogna evidenziare che il cuore del discorso non è il “cosa”, e quindi la soluzione in sé, ma il “come”, cioè il processo partecipativo che cliente e consulente dovranno affrontare insieme. Un approccio che condivido in pieno.

[…] La filosofia è quella per cui il cliente deve essere aiutato a non rimanere mai passivo, nel senso di conservare l’iniziativa sia nel campo della diagnosi sia in quello della correzione da apportare.

– cit. E. H. Shein, in “La consulenza di processo”, Cortina Editore.

L’obiettivo è quello di creare consapevolezza, per facilitare i processi di apprendimento e cambiamento organizzativo. Il mio lavoro, in tal senso, è sempre più orientato a favorire la partecipazione attiva con un linguaggio costruttivo, incentivare la capacità di esplorare e far cercare, in autonomia, nuove possibilità.

La consulenza di processo e il metodo maieutico

La chiave è l’uso sistematico del porre e porsi domande. Un modello di indagine critica (e auto-critica) che crea equilibrio e consente al cliente e al consulente di agire davvero sullo stesso piano, di fare squadra.

La consulenza di processo richiama per molti aspetti il cosiddetto “metodo socratico o maieutico”, secondo cui ciascuno deve far emergere, portare alla luce (maieutica = “arte della levatrice” o “dell’ostetricia”), ciò che ha già dentro di sé. Lo strumento che offre tale possibilità è il dialogo costruttivo. Socrate non inculcava ai discepoli la “sua verità”, ma li aiutava a “partorire idee personali”, tramite domande, risposte e analisi critica. Allo stesso modo, oggi, dovrebbe agire un consulente.

Il metodo maieutico ha caratterizzato anche la preziosa attività di Danilo Dolci, sociologo ed educatore. Esattamente come Socrate, Dolci riteneva sbagliato dispensare verità preconfezionate, perché il vero cambiamento può nascere solo dal coinvolgimento e dalla partecipazione diretta degli interessati.

A differenza della maieutica socratica, di tipo unidirezionale, Dolci proponeva un approccio maieutico reciproco. Riteneva essenziale, cioè, la condivisione e, quindi, la presenza di almeno 2 persone o, meglio ancora, di un gruppo, in cui sperimentare, mettersi in discussione, rilanciare ulteriori approfondimenti.

Consulenza di processo e ricerca-azione

La consulenza di processo presenta 2 grandi vantaggi:

  • aiuta a costruire un percorso di ricerca lento e puntuale;
  • permette di sviluppare un rapporto paritario di reciproca scoperta.

Si tratta di un modo di lavorare che predilige la riflessione, in contrapposizione agli schemi operativi classici. Di solito, infatti, il cliente pretende risposte immediate e il consulente cerca di imporre le sue idee.

Ciò che la sociologia definisce “metodo della ricerca-azione” completa il quadro e aiuta a capire meglio. Per facilitare un cambiamento, risolvere una situazione complessa, è necessario saper sostare nel problema, prenderne coscienza. Senza dialogare con il contesto di riferimento è impossibile percepire e poi definire con chiarezza eventuali difficoltà. Generare più soluzioni (e trovare, tra le tante, quella più adatta) richiede l’impegno di tutti. Come sosteneva Dolci, ciascuno di noi è attore, nessuno è spettatore.

La consulenza di processo trova terreno fertile in ambito sociale. L’ascolto reciproco, la voglia di scavare sotto la superficie e intraprendere un percorso di ricerca collettivo, trasforma ogni realtà associativa da “gruppo gerarchicamente ordinato” a “comunità di persone con obiettivi comuni”. Bella differenza, no?

Considerazioni conclusive

Leggendo l’articolo avrai sicuramente pensato che la consulenza di processo è un approccio operativo bellissimo, ma difficilmente realizzabile. Lo pensano in tanti. Quando cerco di spiegare cosa significhi per me essere una consulente, quali step sarebbe importante seguire, il rischio è di acquisire l’etichetta di “sognatrice idealista”. Esserlo, però, non credo sia un difetto. Anzi.

In questi anni ho capito che troppo spesso manca la consapevolezza di ciò che si fa, di ciò che si potrebbe fare, di quanto si potrebbe migliorare valutando nuove prospettive. Guardando oltre.

Comunicazione e relazione sono due concetti strettamente legati tra loro, da cui dipende l’efficienza di qualsiasi ambiente lavorativo. Una consulenza ben riuscita è quella in cui cliente e consulente riescono a mettere da parte pregiudizi, aspettative, resistenze e condizionamenti. Per essere protagonisti, insieme.


⇒ Un articolo per approfondire: Aristotele chi lo assume? – di Stefania Farina, via SenzaFiltro.