Leadership condivisa: decidere insieme, gestire i conflitti

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La leadership condivisa è un approccio, una forma mentis, che promuove uno stile di lavoro collaborativo e modelli di comunicazione circolare, piuttosto che di tipo piramidale. Il leader, in pratica, non opera al vertice, né al centro, ma accanto alla sua squadra: non è un capo, ma una guida.

Le responsabilità del leader, specie all’interno di un’azienda, esistono e non sono delegabili, ma la volontà di agire in maniera flessibile, aperta, consente di prendere decisioni in modo più veloce e produttivo.
Ciò avviene anche grazie all’utilizzo del feedback (riscontro/commento che aiuta il confronto).

Sociocrazia: progettare insieme i processi di lavoro

La Sociocrazia, o “Governance Dinamica”, sistema di gestione sviluppato in Olanda negli anni ’70 da Gerard Edenburg, è un metodo decisionale cooperativo basato proprio su circuiti di feedback (feedback loops). Prevede che si lavori insieme per realizzare uno scopo comune, certi che ogni opinione avrà valore.

Nata in ambito imprenditoriale, con l’obiettivo di ampliare la sfera d’influenza dei dipendenti, costruire fiducia, relazionarsi con maggiore consapevolezza, funziona molto bene quando è necessaria la gestione costante di un progetto. Incoraggia l’apprendimento, la sperimentazione, la trasformazione: può essere applicata con successo, quindi, nel settore pubblico, a scuola, nelle organizzazioni non profit.

Le decisioni sono prese per assenso, con una suddivisione in cerchi, e il feedback serve a migliorare, a ciclo continuo, le proposte presentate. È così che si alimenta la partecipazione individuale e collettiva.

Un esempio pratico che dimostri l’applicazione della Sociocrazia in contesti strutturati?
Visita l’area “Governance” della cooperativa “Blue Scorcher Bakery & Cafe”: scoprirai in che modo ogni cerchio abbia specifiche responsabilità (reparto pasticceria, reparto panetteria, reparto prodotti al cioccolato…) e come il contributo di ciascuno serva a costruire una politica gestionale comune. [*]

Metodo del consenso: decidere in maniera (davvero) partecipata

Il metodo del consenso, o “processo decisionale consensuale”, è uno strumento che ha avuto origine nelle tribù indigene delle Americhe e nella Società degli Amici (i Quaccheri). Si differenzia dalla Sociocrazia perché, prima di raggiungere il consenso su un’idea o proposta, questa può essere bloccata.
In Sociocrazia esiste l’obiezione, ma l’effetto è solo quello di modificare la proposta, non di fermarla.

Presupposto base del metodo del consenso è che ogni persona ha in sé una parte della verità.
Di conseguenza, è fondamentale staccarsi dalle gerarchie, perché nessuno può mettere a tacere gli altri membri del gruppo. Tuttavia… sappiamo bene che, quando si lavora insieme, i conflitti sono inevitabili e, spesso, tutto inizia dal rifiuto di condividere il proprio potere.

Come raggiungere, quindi, una leadership condivisa?
Per costruire comunità armoniose, stabili e forti, è importante verificare:

  • chi prende le decisioni;
  • in che modo tali decisioni vengono prese;
  • se chi detiene il comando è davvero pronto a co-gestire i suoi privilegi.

Il metodo del consenso considera competitivo (e non cooperativo) il classico processo decisionale “a maggioranza”, perché, generando una minoranza priva di potere, non risulterebbe davvero inclusivo.

Non è raro che la contrapposizione maggioranza/minoranza si traduca, paradossalmente, nell’esercizio del potere di piccoli gruppi, che tendono a dettare le regole senza lasciare spazio a differenti punti di vista.

La gestione del potere nei gruppi: rango, ruoli, privilegi

Alcune persone vengono ascoltate, altre ignorate.

– cit. Beatrice Briggs

Beatrice Briggs, facilitatrice professionista e autrice del libro “Guida pratica a facilitazione e metodo del consenso” (Terra Nuova Edizioni), evidenzia quanto sia frequente che la stessa opinione, espressa da 2 persone diverse, sia accolta con più o meno favore in base a pregiudizi che, il più delle volte, nemmeno pensiamo di avere: supponiamo che Maria sia più istruita di Laura. Maria verrà considerata, Laura no.

Da cosa dipende tutto ciò? La Briggs fa riferimento allo psicologo junghiano Arnold Mindell, secondo cui la causa è da identificare in 2 fattori: rango e privilegio. Il rango è lo status che si ha all’interno del gruppo, la somma dei privilegi di cui ciascuno gode in un determinato contesto. In particolare, le “opzioni” che abbiamo a disposizione per “essere”. In certi casi possiamo parlare di privilegi in senso assoluto, in altri relativi alla situazione contingente. Da qui si generano tutte quelle differenze che causano disagio e conflitti. Ugualmente, anche la distribuzione dei ruoli in un team può causare difficoltà, perché nessuno vuole essere incastrato in un’etichetta per tutta la vita. Abbiamo diritto di sperimentare, evolverci.

Ogni persona ha un potenziale ben più alto che l’espressione di un solo ruolo: in diversi momenti possiamo essere figli o genitori, leader o apprendisti.

– cit. M. Bigi, M. Francesca, D.M. Moiso, in “Facilitiamoci!” – edizioni la meridiana (p. 77).

Leadership condivisa: gestire i conflitti, superare i pregiudizi

Quando si lavora in gruppo, insomma, i conflitti possono nascere per vari motivi. Eccone alcuni.

  • Si discute in modo confuso, senza avere le idee chiare sui temi da affrontare.
    Un dibattito sano parte da queste domande: di cosa stiamo parlando? Perché ne stiamo parlando? Cosa vogliamo ottenere? E come? Il problema interessa tutti? Ci sono opposizioni?
  • Alcune persone vengono escluse dal confronto, come se non esistessero.
    A volte può accadere per noncuranza (le persone timide diventano trasparenti agli occhi di chi parla di più e, se nessuno ne sollecita l’intervento, la loro opinione rimarrà sconosciuta) o per pregiudizio.
  • C’è un evidente disaccordo, che non consente di arrivare alla soluzione.
    Chi vuole vincere a tutti i costi, rischia di generare un “tira e molla” senza via d’uscita.

Come risolvere le controversie, evitare giochi di potere, sensazioni di disagio, smarrimento e frustrazione?
Una leadership condivisa richiede che tutti, all’interno del gruppo, abbiano lo stesso potere decisionale. Per arginare le discriminazioni è bene tenere presente il concetto di rango e i preconcetti che può creare.

Il rango globale, per esempio, comprende genere, nazionalità, colore della pelle, lingua, aspetto fisico, ceto socio-economico: non è un mistero che gli uomini abbiano ancora più potere rispetto alle donne in molti contesti e che, purtroppo, le persone più ricche abbiano maggiori possibilità di scelta rispetto a chi è povero. Stesso meccanismo per il rango sociale, il rango psicologico e quello spirituale.

Conclusione

Possiamo prendere decisioni costruttive solo valorizzando le diversità e utilizzando eventuali privilegi per aiutare gli altri e non per distruggerli. Il potere è legato al tempo e al contesto: in alcuni casi si è in cima alla scala, in altri ci si trova sul gradino più basso. Avere consapevolezza di ciò, è il primo passo per capire che ciascuno di noi ha qualcosa da dire e ha il diritto di essere ascoltato. Qualunque sia la sua condizione.

Ricorda sempre 2 cose:

  1. se non è inclusiva, non è una leadership condivisa;
  2. anche un sovrano ha bisogno dei suoi collaboratori!

[*] fonte: A very brief introduction to sociocracy, by Harri Kaloudis – Medium.